Dal romanzo al cinema

Friday, November 17, 2006


Alcuni generi e sottogeneri di romanzo

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Ciò che si può estrapolare da un romanzo

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Le componenti essenziali di un film

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Sunday, November 12, 2006










Laboratorio di scrittura creativa

Come si scrive una sceneggiatura

Un film racconta una serie di azioni che delle persone compiono in determinate situazioni.
Per iniziare a scrivere una sceneggiatura bisogna avere un’idea di cosa si vuol far fare ai personaggi, quali situazioni gli si vuole far affrontare, quali luoghi gli si vuol far visitare. Nonostante tutti gli sforzi che uno scrittore può fare, è praticamente impossibile trovare un’idea assolutamente originale, riecheggerà sempre qualcosa di già visto in un altro film, o letto in un libro, o sentito in una canzone... L’importante, comunque, è non copiare, ma prendere spunto. Si può partire dalla stessa idea, dallo stesso punto di partenza, di un altro autore, per poi prendere tutt’altra direzione ed arrivare in un luogo completamente diverso. In parole povere: pur avendo una storia simile, il film può (e deve) essere completamente diverso. La storia non deve mai sembrare quella di un qualcosa di già visto, anche se spesso l’incrocio tra diverse cose già viste può sembrare persino qualcosa di nuovo. La storia deve sembrare una variazione interessante di un tema conosciuto. Non è mai buona idea, comunque, descrivere ciò che si scrive come “un incrocio tra questo e quello, con un po’ di quest'altro”. Questo vale in ogni campo della scrittura creativa, ma è vero soprattutto nel cinema.
Esistono milioni di modi diversi per sviluppare la stessa idea, quindi bisogna avere ben presente fin dall’inizio deve si vuole arrivare quando si inizia a scrivere. Facciamo qualche esempio di idea per dei film:

· Un ragazzo ed una ragazza si amano, ma sono costretti a tenere segreta la loro relazione.
· Un criminale, dietro la promessa della libertà, viene incaricato di recuperare un uomo che può salvare il mondo dalla distruzione.
· Un uomo torna dal regno dei morti per vendicarsi dei propri assassini.
· Durante una missione scientifica un gruppo di studiosi entra in contatto con una razza aliena sconosciuta.
· Ad un esperto poliziotto di colore viene assegnato un nuovo compagno, bianco e più giovane. I due si trovano subito invischiati in un complicato caso di omicidio.

Suonano familiari? Dovrebbero, perché la prima idea è quella che sta alla base di “Romeo e Giulietta”, ma è molto semplice e può essere facilmente adattata (e lo è stata) alle situazioni più diverse. La seconda è la storia di “1997: Fuga da New York”, ma se specifichiamo che il prigioniero deve viaggiare nel tempo diventa quella de “L’Esercito delle 12 Scimmie”.
La storia dell’uomo che resuscita è comune a “Il Corvo” ed al più recente “Spawn”, ma va detto che entrambi i film sono basati su dei fumetti. La terza è l’idea su cui si basa “La cosa da un altro mondo”, ma basta decidere di ambientarla nello spazio e diventa “Alien”. Infine possiamo ammirare la coppia di poliziotti bianco-nero sia in “Arma Letale” che in “Se7en”.
Bisogna, quindi, ricordarsi sempre che per quanto buona sia l’idea di partenza quello che conta veramente è il modo in cui viene sviluppata.
Quando si ha la possibilità di scrivere ciò che si vuole si finisce spesso per fissare il foglio bianco per ore. La cosa migliore da fare, la prima regola dello sceneggiatore, è scrivere di ciò che si conosce, il che non vuol dire scrivere la propria biografia, ma piuttosto narrare la storia di un personaggio con cui abbiamo qualcosa in comune e che si muove in un ambiente simile a quello che conosciamo. Il protagonista del nostro film, che lo vogliamo o no, avrà sempre qualcosa in comune con noi, perché siamo noi a dargli vita, a decidere cosa deve dire e fare, ma queste somiglianze non dovrebbero essere l’aspetto principale del personaggio, a meno che non abbiamo avuto una vita veramente molto curiosa ed interessante.
Ma come si fa a sapere quando si ha un’idea veramente buona? Bisogna cercare di dar libero sfogo alla propria fantasia, bisogna osservare tutte le idee che ci nuotano nella testa fino a che non abbiamo veramente l’impressione di aver pescato quella giusta. Allora prendiamo questa “grande idea” e guardiamola meglio. Bisogna porsi questa domanda: “È sufficiente per essere l’idea base del mio film?”. Quanto più tempo ci avete messo per trovarla, tanto più il vostro “sì” sarà convinto. Bene, sappiate che un’idea sola non è mai sufficiente!.
L’idea centrale di un film deve essere eccitante, affascinante e deve apparire diversa da tutto quello che si è visto o sentito fino a quel momento, e la vostra sceneggiatura dovrà essere piena zeppa di buone idee.
Fino a questo punto, ed in genere anche quando la storia sarà completa, l’idea si potrà riassumere con una sola frase, con una sola immagine: la locandina che viene appesa fuori dai cinema. Molto spesso la locandina è sufficiente ad evidenziare le differenze che un film ha rispetto agli altri film che partono dalla stessa idea. Nel manifesto di “Arma Letale” si vedono Mel Gibson e Danny Glover spalla a spalla con le pistole in mano, mentre in quello di “Se7en” erano riportati solamente i sette peccati capitali ed il titolo del film. Nel primo caso il film è incentrato su ciò che i protagonisti fanno, sul loro carattere e sul rapporto che si viene a creare tra di loro; nel secondo i due poliziotti agiscono in relazione a ciò che il “cattivo” fa, è lui che ha il controllo del film, anche se lo vediamo poco.

Scrivere il soggetto

Dopo aver individuato l’idea per il film bisogna passare alla fase successiva.
Prima di mettersi a scrivere la sceneggiatura vera e propria è meglio scrivere la scaletta del film, il soggetto. In pratica si tratta di decidere che tipo di persone si vuole che i personaggi siano, quali le loro caratteristiche principali, il luogo dell’azione e cosa questi personaggi dovranno fare, quali problemi si troveranno ad affrontare.
Capita spesso di lavorare ad una sceneggiatura insieme ad altre persone. L’equazione per cui più teste pensano, più brillante sarà il risultato non è sempre vera, anzi è spesso vero il contrario: può capitare di trovarsi in disaccordo, di avere visioni opposte dello stesso problema, di interpretare in maniera diversa i personaggi. Questo succede soprattutto se non si ha molta familiarità con i propri compagni di lavoro, o se si è abituati a lavorare da soli, in piena libertà. Il pericolo maggiore, in questi casi, è quello di cercare di imporre sempre le proprie idee, perché a questo punto anche gli altri vorranno fare lo stesso ed il risultato finale sarà una sceneggiatura eterogenea e discontinua. Come lo si può evitare? Beh, innanzitutto bisogna entrare nell’ordine di idee che questa volta si fa parte di una squadra e che bisogna giocare con gli altri, insieme agli altri. Una cosa molto utile da fare quando si scrive in gruppo è porsi tutte le domande che una scena ci suggerisce, questo perché ognuno potrebbe avere dei dubbi diversi da quelli degli altri sull’effettiva efficacia di una scena. Portare all’attenzione degli altri questi dubbi aiuterà senz’altro a trovare la soluzione per i problemi che nascono man mano che si scrive.
Anche se la cosa appare contestabile il modo migliore per dare un buon ritmo alla storia è dividere lo sviluppo dell’azione in tre parti, in tre capitoli:

· un’introduzione, in cui vengono presentati i personaggi principali, in cui si fa capire come e dove vivono e si inizia a presentare il problema che dovranno affrontare nel corso del film;
· una parte centrale dell’intreccio, in cui questo problema si sviluppa, sconvolgendo la vita dei personaggi. In pratica è il momento di sviluppare la vostra “grande idea”;
· un finale, in cui i personaggi risolvono (o forse no) la situazione in cui si erano venuti a trovare e si concludono anche le sottotrame, le idee secondarie che avevate inserito nel film.

Soprattutto si deve essere ben sicuri di avere qualche idea interessante per ognuno di questi capitoli e di avere un deciso cambio di situazione approssimativamente a metà film. Come già detto questa tecnica appare molto contestabile, ma deriva direttamente dal teatro dell'antica Grecia e se praticamente tutti i film sono scritti seguendo questo procedimento, una sua efficacia dovrà pur averla.
Se si sta scrivendo una cosa in piena libertà, un “soggetto originale”, non bisogna farsi problemi a dar libero sfogo alla propria fantasia. Non bisogna chiedersi se una scena è realizzabile, piuttosto se la scena è plausibile, se è importante all’interno del film, e soprattutto se è interessante.
Quello che si ha in mano a questo punto è più o meno la trama del film. È molto importante che la storia possa realmente interessare chi legge, e che possa anche interessare lo spettatore tipo, deve succedere qualcosa che valga la pena di narrare in un film.
Se la storia ha la possibilità di interessare qualcun altro si può iniziare, seriamente a dar vita ai personaggi. A questo punto del lavoro bisogna occuparsi solo del protagonista, ed eventualmente di un personaggio non protagonista che è comunque molto importante nell’economia del film, in genere il “cattivo” di turno. Gli altri si “disegneranno” man mano che faranno la loro apparizione nella storia. Il primo passo è quello di fare una lista di tutto ciò che il pubblico ha bisogno di sapere sul vostro protagonista, sottolineare le cose che il pubblico deve sapere subito, ed infine, una lista di quello che non si vuole dire al pubblico, ma che comunque condizionerà la psicologia, e quindi le azioni, del protagonista. Si deve fare in modo di avere bene in mente le sue abitudini, i posti dove gli piace andare, il suo modo di parlare, il tipo di persone che gli piace frequentare. Dopo aver messo su carta tutte queste cose, sempre convinti di quello che si vuol far fare ai personaggi, si è pronti per iniziare a scrivere la sceneggiatura.
Dissolvenza:
Questa è la prima parola in una sceneggiatura. Dallo schermo nero si passa, più o meno lentamente, all’immagine iniziale. Si “Dissolve in:”.
Esistono tre modi diversi per scrivere una sceneggiatura. Derivano dalle abitudini in uso in tre paesi tra i più “cinematograficamente sviluppati” del mondo.
Nella forma italiana il foglio viene diviso in due colonne: nella colonna di sinistra vengono date tutte le indicazioni relative alla parte visiva, le azioni dei personaggi e le descrizioni degli ambienti. In quella di destra ci sono quelle relative al sonoro, cioè i dialoghi, i rumori ed, alle volte, anche le musiche. Succede spesso, in Italia, che il regista collabori alla scrittura della sceneggiatura, quindi in questo caso si decide subito il modo in cui si dovrà girare e montare una scena, indicando il tipo di inquadratura da usare, numerando ogni scena e spesso anche ogni inquadratura.

138 - EST. RETRO DEL TEATRO - NOTTE

(C.M.) - Plissken esce in strada e da un’occhiata alla radiobussola, poi si guarda intorno e cammina verso la mdp, fino ad una rampa di scale che scende. Inizia a scendere.

(P.M.) - Plissken si volta di scatto a fucile spianato.

(P.M.) - Cabbie fa un passo verso Plissken con le mani in alto. È tranquillo.

(P.M.) - Plissken lo fissa senza abbassare il fucile.

Plissken abbassa il fucile.

(C.M.) - Cabbie sorride.Si avvicina a Plissken, ma questi ricomincia a scendere le scale.
Cabbie si avvicina alla rampa e lo guarda.
Musica proveniente dall’interno del teatro.
Si sente sbattere la porta del teatro.

CABBIE: Ehi... Sei Iena Plissken, è vero?

PLISSKEN: Che cosa vuoi?
CABBIE (f.c.): Niente.

CABBIE: Io ti credevo morto.

CABBIE: Ehi... Non vorrai gironzolare là sotto, Iena.

La forma americana è quella che, graficamente, si avvicina di più ad un romanzo. Si riempie il foglio dal margine sinistro a quello destro, e si cerca di dare al racconto una scorrevolezza letteraria. I dialoghi sono scritti al centro della pagina, leggermente rientranti su entrambi i lati rispetto al testo normale, in modo da permettere di capire, già ad un primo colpo d’occhio, se nella pagina sia raccontato un dialogo od una scena d’azione. Non ci sono indicazioni tecniche di alcun tipo, per non rendere troppo “pesante” la lettura a persone che non hanno una perfetta conoscenza della tecnica cinematografica.

EST. RETRO DEL TEATRO - NOTTE

La grande porta si apre e Plissken esce chiudendosela alle spalle. Dà un’occhiata alla radiobussola, poi osserva la strada e cammina fino a che non raggiunge una rampa di scale che scende. Da un’occhiata giù, poi inizia a scendere.

D’improvviso la porta del teatro si apre!
Plissken si volta di scatto a fucile spianato.
Cabbie cammina verso di lui, con le mani alzate. Non sembra per niente spaventato.

CABBIE: Ehi... Sei Iena Plissken, è vero?

Plissken lo guarda, un po’ sorpreso.

PLISSKEN: Che cosa vuoi?

CABBIE: Niente.

Plissken abbassa il fucile.

CABBIE (continua): Io ti credevo morto.

Plissken si volta e riprende a scendere le scale.
Cabbie si avvicina e lo guarda.

CABBIE: Ehi... Non vorrai gironzolare là sotto, Iena.

Nessuna risposta.

In Francia i registi tendono ad improvvisare notevolmente durante le riprese, come si nota chiaramente guardando il film “Effetto Notte” di François Truffaut, così le sceneggiature spesso riportano solo la traccia dei dialoghi, le frasi più importanti che i personaggi dicono ed il senso generale dei loro discorsi. Sarà proprio il regista a completare le battute durante le riprese, seguendo l’ispirazione del momento. Proprio per questo la lunghezza delle sceneggiature “francesi” può variare notevolmente, a differenza di quella americana e quella italiana, che per un film di durata normale in generale si aggira intorno alle 90-100 pagine. Ovviamente di indicazioni tecniche neanche a parlarne...

138 - EST. RETRO DEL TEATRO - NOTTE

Plissken esce dal teatro seguendo la traccia della radiobussola. Percorre la strada fino a che non arriva ad una rampa di scale che scendono. D’improvviso un rumore lo fa voltare, a fucile spianato. È Cabbie, che avanza verso di lui, tranquillo, con le mani alzate. L’ha riconosciuto, è per questo che ha deciso di seguirlo.

CABBIE: Io ti credevo morto!

Plissken non gli presta attenzione e si mette a scendere le scale. L’idea non piace a Cabbie che, urlando, cerca di dissuaderlo dall’andare là sotto. Ancora una volta Plissken lo ignora.

Questi sono tre modi diversi di narrare la stessa scena: il primo incontro tra Iena Plissken (Kurt Russell) e Cabbie (Ernest Borgnine) in “1997: Fuga a New York”. La sceneggiatura originale, scritta nel 1980 da Nick Castle e John Carpenter, sembra una via di mezzo tra il metodo italiano e quello americano, perché l’azione è divisa in inquadrature e ci sono indicazioni relative al modo di montare le scene. Questo perché i due scrittori sapevano che Carpenter avrebbe poi diretto il film. Ma se fosse stata scritta in tempi più recenti, o da qualcun altro, sarebbe senz’altro più simile al secondo esempio, che è quello in voga nella Hollywood di oggi ed un po’ in tutto il mondo. Nel terzo esempio, infine, il modo di narrare dipende molto dal rapporto tra sceneggiatore e regista.
In pratica, dunque, la sceneggiatura non è altro che il romanzo del film, un racconto che narra ciò che si vedrà poi sullo schermo.
Un racconto che, invece di essere diviso in capitoli, è diviso in scene. Ogni scena, come si è visto, inizia con un titolo, che ne definisce il tempo ed il luogo. Si specifica se l’azione si svolge all’aperto (Est. - Esterno) o all’interno di una qualche costruzione (Int. - Interno). In fase di sceneggiatura, non è conveniente immaginare come girare la scena, anche per evitare di restare troppo delusi per la riuscita finale sullo schermo. Quindi se una scena si svolge in casa verrà sempre definita come “Int.”, anche se pensiamo sia una buona idea riprenderla da fuori la finestra. La stessa cosa vale per le scene ambientate in auto. Nel titolo si specifica anche il luogo preciso in cui una scena si svolge (camera da letto, strada, sottoscala...) ed il momento del giorno (mattina, giorno, sera, notte).
Nel descrivere la scena è preferibile iniziare dalla cosa più importante sullo schermo. Se un uomo delle pulizie sta mettendo a posto un ufficio converrà cominciare la scena con la descrizione delle sue azioni, per poi passare a descrivere l’ambiente, man mano che si muove, in modo da rendere più scorrevole ed interessante la descrizione dei luoghi. Tutti gli elementi importanti devono essere citati, ed è preferibile evitare di perdere tempo descrivendo particolari inutili. Se per il film non ha importanza che la tuta da lavoro dell’uomo delle pulizie sia blu invece che gialla, allora non ne ha neanche per la sceneggiatura; ma se nella scena seguente viene ritrovato il cadavere dell’uomo con indosso una tuta di colore diverso, allora bisogna descriverla, e bisogna farlo subito.
La sceneggiatura è scritta al tempo presente, come se le cose stessero avvenendo in questo momento, perché scrivere al tempo presente può dare al lettore l’impressione di essere dentro la vicenda. Per ottenere questo risultato, però, bisogna scrivere in maniera valida, come se si trattasse veramente di un romanzo.
Bisogna coniugare effettivamente i verbi al presente, non al gerundio (evitare ‘sta camminando’, ‘sta entrando’ e roba del genere). Il presente è più immediato, più diretto. Si deve cercare anche di evitare di scrivere frasi tipo ‘sta per...’ o ‘inizia a...’, perché danno l’impressione che l’azione del personaggio sia interrotta. Ovviamente fa eccezione il caso in cui l’azione venga effettivamente interrotta, come quando Iena Plissken inizia a scendere le scale ma sente un rumore alle sue spalle che lo fa voltare a fucile spianato. Si faccia in modo che ciò che scrive sia scorrevole, piacevole e che abbia un proprio ritmo associato al ritmo della scena: se, ad esempio si state scrivendo una scena d’azione si deve fare in modo che la lettura sia veloce, non ci si deve perdere in particolari inutili. Usare sempre frasi corte; dare al lettore la possibilità di prendere mentalmente fiato e tenere presente che se si usa troppo spesso la congiunzione ‘e’ la prosa risulta probabilmente sgraziata e poco scorrevole. Il modo migliore per verificare se un periodo può funzionare o no, è quello di rileggere tutto l’elaborato a voce alta.
Quando si narra un’azione lunga o complessa bisogna dividerla in tante frasi brevi. In questo caso è conveniente citare il soggetto solo nella prima frase ed usare solamente dei pronomi nelle successive.
Il compito è quello di stupire il lettore, non di colpire lo spettatore, perché se il produttore che legge il lavoro non è interessato, non ne farà mai un film.
È importante che il lettore non abbia un cattivo impatto visivo guardando la pagina. Sarebbe preferibile che la lettura scorresse verso il basso della pagina, piuttosto che verso il lato destro. La cosa, però, è tutt’altro che facile. Un modo per ottenere questo effetto è quello di andare a capo ogni volta che l’azione “passa” ad un diverso personaggio, o quando lo stesso personaggio compie azioni diverse (date un’altra occhiata alla scena di “Fuga da New York” scritta all’americana e ve ne accorgerete). Questa tecnica è abbastanza difficile da utilizzare in maniera corretta, perché finisce per far aumentare vertiginosamente la lunghezza della sceneggiatura. Conviene allora utilizzarla solamente nelle scene d’azione, che meglio si prestano ad essere “spezzate”.
Spesso capita che il lettore annoiato tenda a saltare le didascalie per passare direttamente al blocco del dialogo. Come si può evitare che accada? Beh, il modo migliore è quello di rendere veramente interessante ogni scena, in modo che il lettore non voglia saltare nulla per non correre il rischio di perdere delle azioni chiave, ma non sempre questo è possibile. Anche qui, allora, si può provare a barare e dare l’impressione che ci sia meno roba da leggere. Un modo per farlo è contenere ogni blocco di azione entro le quattro righe. Non quattro frasi, quattro righe. Se l’azione richiede più di quattro righe, va spezzata.
E’ sempre meglio non identificare i personaggi con gli attori che si pensa possano interpretarli, ossia non esagerare con la precisione delle descrizioni fisiche. Questo perché il lettore potrebbe farsi un’idea diversa e non riuscire a capire le scelte dello sceneggiatore.
Quando si scrive un dialogo bisogna annotare il nome del personaggio che parla, eventualmente segnalando se questi si trova fuori dall’immagine (f.c.), se si tratta della voce del narratore (v.o.) o se la voce si sente attraverso il telefono o una radio (filtrata). Nel caso che il personaggio stia continuando un discorso iniziato in precedenza ed interrotto da qualcuno o qualcosa, lo si fa notare (continua). In genere un personaggio compie qualche azione mentre parla, soprattutto se sta facendo un discorso lungo. Si indica quest’azione interrompendo il dialogo e descrivendola, per poi riprendere il dialogo. Una sceneggiatura cinematografica non è un copione teatrale, in cui la scena viene sempre descritta all’inizio e non ci sono indicazioni sulle azioni dei personaggi, se non le più importanti. In una sceneggiatura bisogna indicare tutto quello che i personaggi fanno, fosse anche solo grattarsi la testa. Le didascalie con le azioni, poi, vengono narrate nella successione temporale in cui avvengono, non vengono scritti all’inizio della scena e basta. In una sceneggiatura i dialoghi si alternano con le didascalie, mano a mano che i personaggi parlano e si muovono. Il difficile, però, è descrivere le azioni dei personaggi in modo da non sembrare opprimenti nei confronti degli attori che dovranno poi interpretare il film, perché anche loro leggeranno lo scritto.
Come gia detto la sceneggiatura è solitamente divisa in tre capitoli. Ma quanto devono essere lunghe queste tre parti? Quanto deve essere lunga tutta la sceneggiatura? In genere un pagina equivale ad un minuto di film. Questa equazione non è sempre vera, perché, lo stile di scrittura dipende molto dallo sceneggiatore e da che tipo di azioni sta raccontando. Comunque diciamo per comodità che una pagina corrisponde ad un minuto di film. Allora, un film dura mediamente 90-120 minuti. È molto pericoloso pensare ad un film la cui durata vada oltre le due ore. Questo perché per andare in attivo un film deve incassare il doppio di quello che è costato. Un film di tre ore obbligherà i gestori dei cinema a fare uno spettacolo in meno ogni giorno.
Quindi il pubblico giornaliero sarà comunque inferiore a quello che avrebbe avuto lo stesso film se fosse durato un’ora di meno. Il film dovrà avere una longevità fuori dal comune (cioè dovrà rimanere nelle sale cinematografiche molto più tempo del normale) per incassare quanto un altro film più corto. In genere le sceneggiature tendono ad avvicinarsi di più alle 120 pagine che alle 90. Questo perché teoricamente un film di due ore da più tempo per sviluppare meglio la storia ed i personaggi rispetto ad uno di un’ora e mezza. Evitare, quindi, di allungare a 120 una sceneggiatura di 90 pagine.
Tornando alla sceneggiatura, dove mettiamo gli inizi dei capitoli? Le possibilità sono due. La prima consiste nello scrivere tre capitoli di lunghezza uguale, il che vuol dire, ipotizzando di avere una sceneggiatura di 90 pagine, “cambiare il passo” a pagina 30 e a pagina 60.
Un’altra possibilità è quella di dedicare meno tempo all’introduzione ed al finale per avere un secondo capitolo, una parte centrale della storia, più estesa. Questo vuol dire 25 pagine per la prima e terza parte e 40 per la seconda. Se si ha uno sviluppo della trama veramente eccitante ci si può dedicare più tempo, ma dato che capita molto spesso che la parte centrale di un film risulti essere la più noiosa e sembra sempre che non ci siano abbastanza idee per riempire le pagine, conviene mantenere i tre capitoli della stessa lunghezza. Questo dà alla storia un ritmo sostenuto, perché ogni 30 pagine succede qualcosa, e soprattutto la parte centrale risulta particolarmente avvincente perché, con il “colpo di scena” di metà film, succede qualcosa di interessante ogni 15 pagine.

Istantanea dei personaggi

È molto importante il modo in cui si presenta il protagonista la prima volta. Spesso capita di avere a disposizione una scena introduttiva per il protagonista, prima che il personaggio si ritrovi effettivamente dentro l’azione. Questa scena deve essere una specie di carta d’identità, una fotografia istantanea del protagonista, qualcosa che resti impresso nella mente dello spettatore lungo tutto il film. A questo punto è molto importante la lista che si è fatta all’inizio, quella riguardante ciò che il pubblico deve conoscere del personaggio. In particolare ciò che deve sapere subito. Quello che bisogna riuscire a fare è creare una scena che illustri tutti gli elementi che fanno parte di questa lista.
Si esamini la prima scena de “I Predatori dell’Arca Perduta”: mentre una sovrimpressione ci avvisa che ci troviamo in Sud America nell’anno 1936 vediamo Indiana Jones attraversare velocemente la giungla. Le guide che l’accompagnano scappano una ad una, impaurite. Quando Indy raggiunge il Tempio, in compagnia di una sola persona, scopriamo perché tutti gli altri sono scappati (“Nessuno è mai uscito vivo da lì”). Appena entrati i due vengono assaliti da un gran numero di ragni e trovano lo scheletro di colui che li ha preceduti nell’esplorazione del Tempio. Dopo aver saltato una botola senza troppi problemi ed aver evitato trappole a pressione sul pavimento Indy è finalmente davanti ad un idolo d’oro, che era ciò che stava cercando. Prende un sacchetto pieno di sabbia e lo svuota un poco per renderlo pesante, ad occhio e croce, quanto la statuetta. Con una mossa velocissima sostituisce l’idolo con il sacchetto.
Soddisfatto si appresta ad uscire quando inizia a crollargli tutto addosso. Indy cerca di scappare, ma per saltare la botola getta l’idolo alla guida, che scappa lasciandolo lì. Lui salta la botola e si infila sotto un muro che si sta chiudendo, evitando di finire schiacciato dal crollo. Nel rotolare sotto il muro, però, ha perso la frusta, e rischia un braccio per recuperarla, proprio quando il muro si chiude. Ripresa la via dell’uscita trova il cadavere della guida e recupera l’idolo, ma deve riprendere subito a scappare, inseguito da un masso gigantesco. Una volta fuori Indy riceve il benvenuto di un gruppo di indigeni che lo tiene sotto tiro con delle cerbottane. Un francese con il quale si è scontrato diverse volte (“Peccato che non la conoscano bene come la conosco io, Belloq”) gli toglie l’idolo. Ancora una volta il coraggioso Indiana Jones è costretto a scappare. Gli indigeni lo inseguono, ma lui riesce ad arrivare ad un fiume dove lo attende un suo amico su di un aereo. I due riescono a decollare in tempo per evitare le lance degli indigeni, ma Indy è spaventato per qualcos’altro: c’è un serpente enorme sotto il suo sedile!
Questa scena dura 12 minuti, ma alla fine, quando si riuscirà finalmente a tirare il fiato, ci si troverà già proiettati nell’atmosfera del film e avremo scoperto diverse cose della vita e del carattere di Indiana Jones:

· Siamo nella foresta amazzonica negli anni che hanno preceduto l’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
· Indy è un avventuriero che gira il mondo alla ricerca di tesori perduti, anche se non sappiamo ancora perché.
· È una persona intelligente (si rende conto che il sacchetto di sabbia è troppo pesante rispetto all’idolo e lo svuota) e pronta di spirito (sa come sfuggire a situazioni critiche).
· È ben allenato, perché riesce a saltare la botola e a sfuggire al masso ed agli indigeni.
· Tiene molto alla sua frusta.
· Ha un nemico di lunga data.
· Ha un sacco di amici pronti ad aiutarlo in caso di bisogno.
· Ha una paura folle dei serpenti.
Nel prosieguo del film tutte queste caratteristiche verranno ripresentati in situazioni diverse, ma il pubblico le darà per scontate perché ne è già venuto a conoscenza fin dall’inizio.Sarà più facile,quindi, concentrarsi sull’azione vera e propria. Un modo per introdurre il vostro protagonista è quello di avere degli altri personaggi che parlano di lui, prima ancora che il pubblico l’abbia mai visto. Il problema, però, è che in questo caso si finisce per avere una scena di dialogo abbastanza lunga, e non bisogna dimenticare che il film è fatto soprattutto di immagini, di azioni. È sempre meglio mostrare che dire, ed il modo migliore è mostrare il protagonista nell’esercizio “delle sue funzioni”. Tra l’altro si deve evitare di usare sovrimpressioni, invece si deve mostrare, ad esempio, un cartello stradale od un monumento caratteristico del luogo piuttosto che scrivere dove ci si trova. Far vedere il Duomo è sufficiente a far capire al pubblico che siamo a Milano. Certo, si può sempre far vedere la Torre Eiffel e poi scrivere “Tokyo”, dato che a Tokyo ce n’è una copia a grandezza naturale. Evitare l’utilizzo della voce narrante, perché spesso un commento intelligente non è accompagnato da immagini altrettanto interessanti. Bisogna fare in modo che gli spettatori riescano a familiarizzare con il protagonista, in modo che non si sia tentati di esplorare troppo la sua psicologia durante il film, quando l’attenzione dovrebbe essere rivolta ad altre cose. Ci può essere, però, il caso in cui il pubblico debba “scoprire” il protagonista poco alla volta. Questo succede soprattutto quando si narra la storia di un nuovo arrivato, di qualcuno che spunta fuori dal nulla e provoca interesse nella comunità in cui cerca di inserirsi, quello che in America si chiama “new kid in town”. Se vogliamo dare agli spettatori la stessa idea che hanno i personaggi che entrano in contatto per la prima volta con il protagonista allora si dovrà rivelare il meno possibile di lui, solo lo stretto indispensabile. In questo caso la cosa risulterà abbastanza problematica, perché ad ogni nuova rivelazione il pubblico ricontrollerà mentalmente tutto quello che già sa su di lui e salteranno fuori tutte le incongruenze con le cose che il personaggio ha fatto e detto fino a quel momento.
Oltre al protagonista ci possono essere anche altri personaggi importanti nel film, i cosiddetti co-protagonisti. Non bisogna considerarli mai secondari, anche se lo sono, vanno disegnati con la stessa cura con cui si crea il vostro protagonista. Avendo meno tempo a disposizione risulta più difficile esplorare tutti gli aspetti del loro carattere e della loro vita, ma è proprio la cura di questi particolari nei co-protagonisti che separa un buon film da uno solamente mediocre. Tenete presente, poi, che personaggi diversi avranno un modo diverso di vedere le cose ed affrontare i problemi. Dal modo in cui si comportano e parlano deve venir fuori il loro carattere, le loro abitudini, proprio come nella vita reale. Ad esempio un personaggio potrebbe vedere sempre il lato negativo delle cose, oppure potrebbe criticare sempre ciò che fanno gli altri... Anche se poi il resto della caratterizzazione sarà abbastanza piatta, basteranno queste sfumature per rendere ogni personaggio diverso dagli altri.
Ciò che rende interessante una scena è il conflitto che i personaggi si trovano ad affrontare. Questo non vuol dire che ad ogni scena ci deve essere una rissa, ma ci deve essere un dilemma, una decisione importante che i personaggi devono prendere. Si può decidere se rivelare qualcosa a qualcuno oppure tacere, se affrontare un personaggio con le buone o con le cattive, se aprire quella porta o scappare a gambe levate...
Spesso in queste situazioni la cosa migliore da far fare ai personaggi è quella meno prevedibile, quella più sorprendente. In qualunque situazione i personaggi si trovino, avranno sempre la possibilità di fare qualcosa di completamente inaspettato. Questo può trasformare una scena discreta, normale, in una scena memorabile. Ad esempio: abbiamo visto i protagonisti di “Full Monty” discutere del fatto di non avere lavoro per più di un’ora, vederli in fila all’ufficio collocamento non è particolarmente eccitante, soprattutto perché sono arrabbiati gli uni con gli altri e non si parlano. Sennonché nella sala si diffondono le note della canzone di Donna Summer “Hot Stuff” e loro, tranquillamente, si mettono a ballare, incuranti degli sguardi degli altri disoccupati. Questo comportamento inaspettato, strano ma verosimile per quei personaggi, rende la scena spassosissima e assolutamente indimenticabile. Questo succede perché sono i personaggi, il loro comportamento, a guidare lo sviluppo della scena e il film è costruito soprattutto dalle azioni dei personaggi.
I dialoghi in genere sono la cosa che, escluse un paio di scene qua e là, resta più impressa nelle menti degli spettatori. La cosa più importante, a prescindere dal tipo di film, è che i dialoghi siano realistici. Ma anche ponendo che lo siano, questo non vuol dire che siano buoni. Anzi, spesso si finisce per scrivere scambi di battute incredibilmente ovvi e dialoghi quantomeno zoppicanti. Ecco gli errori più comuni che si fanno in questa fase:

· Il problema maggiore, e la cosa peggiore da fare, è il rischio di essere ridondanti. Cioè di far dire ad un personaggio qualcosa che si è già espresso con le immagini. Anche se in quella situazione una persona reale farebbe esattamente quel commento, in un film la cosa può non funzionare. Sarebbe semplicemente noioso vedere dei personaggi spiegare per filo e per segno una cosa che ci è già stata mostrata in maniera chiara con delle immagini. Bisogna cercare di dare allo spettatore solo la parte interessante della storia.
· Nella vita reale capita che le persone, parlando, girino intorno ad un argomento prima di affrontarlo. Raramente si dice quello che si pensa veramente, si tende piuttosto a tastare il terreno, a danzare intorno all’argomento, in modo da non fare una sparata fuori luogo. In genere, più una cosa interessa più difficilmente ci si butta a testa bassa sull’argomento. Dovrebbe capitare anche nei film.
· In situazioni particolari si tende a nascondere i veri sentimenti dicendo esattamente l’opposto di quello che si pensa. Se si trema di paura, si tende generalmente a dire che non si è assolutamente spaventati. In un film i personaggi tendono troppo spesso a non rispecchiare questo aspetto.
· Il modo migliore di rendere un dialogo interessante è quello di renderlo più colorito. Non nel senso di riempirlo di parolacce, ma di usare degli esempi, dei paragoni. Questo renderà i dialoghi più frizzanti, più personali.
· È molto importante curare al massimo ogni singola battuta di dialogo ogni singola parola. La cosa migliore da fare per rendere più interessanti i dialoghi è quella di rileggerli tutti con attenzione e trovare il modo migliore per dire le stesse cose, il modo più intelligente, più brillante, più arguto, più spiritoso.
· Ogni persona parla in un modo assolutamente personale. Ognuno ha il proprio vocabolario, le proprie espressioni preferite, il proprio intercalare. Bisogna fare in modo che questa varietà si possa ritrovare anche nei dialoghi.
· Se si vuole avere un dialogo molto ritmato, parlato abbastanza in fretta, non si possono scrivere delle battute troppo lunghe. Più le battute sono lunghe più il ritmo della scena sarà lento. Per avere un dialogo molto sostenuto bisogna scrivere dei “botta e risposta”.
· Un altro modo per controllare il ritmo delle scene di dialogo è quello di far fare qualcosa ai personaggi, mentre parlano. Nella sceneggiatura si darà un accenno all’azione che un personaggio sta compiendo quando si vuole “far prendere fiato” allo spettatore, quando ci vuole un momento di silenzio. I momenti di silenzio sono importanti quanto quelli di conversazione.
· Dialogo è sinonimo di conversazione. Nella vita reale le persone fanno conversazione, non fanno discorsi, non tengono conferenze. E le conversazioni sono fatte di scambi di brevi battute.

Laboratorio di arti figurate

Anche questo laboratorio è strettamente legato al nostro progetto. Lo spirito che ci ha guidato è stato quello di creare un percorso che potesse portare i ragazzi alla consapevolezza che una “storia” può essere raccontata con diversi linguaggi. Per realizzare ciò, con l’ausilio dell’insegnante di arte ed immagine, si farà realizzare ai ragazzi una “striscia fumettistica”. La seconda fase di questo laboratorio sarà finalizzata alla creazione delle scenografia e dello story-board del cortometraggio.

Laboratorio musicale

Durante queste ore verrà spiegato ai ragazzi l’importanza che assume la musica e il “sonoro” all’interno di un film. In seguito i ragazzi verranno invitati a scegliere le musiche che andranno a comporre la colonna sonora.

Laboratorio di storia di trazioni popolari

Verranno fornite nozioni di storia e tradizioni siciliane; inoltre verranno invitati gli alunni a cercare informazioni e materiali sulle tradizioni del loro paese d’origine. Le modalità di queste ricerche potranno essere diverse:
Interviste a persone anziane.
Ricerche informatiche.
Supporti cartacei.

Laboratorio informatico

Verranno spiegati ed utilizzati i programmi informatici (GIMP) relativi alla “computer grafica” e al montaggio (Final Cut).


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Il romanzo giallo

Il racconto poliziesco è fondamentalmente la narrazione di un crimine e del modo in cui si svolge l’indagine sul crimine stesso al fine di scoprirne il colpevole.

Breve storia del racconto giallo-poliziesco:
Il racconto poliziesco, come genere letterario, nasce nell’Ottocento, ad opera dello scrittore americano Edgar Allan Poe, autore di misteriose e tenebrose storie di intrighi ed enigmi polizieschi, spesso risolte brillantemente dal geniale investigatore dilettante Auguste Dupin (Gli omicidi della Rue Morgue).
Sempre nell’Ottocento, lo scrittore inglese Arthur Conan Doyle crea la figura di Sherlock Holmes, l’investigatore più famoso di tutti i tempi, l’eroe della scienza investigativa e della logica rigorosa.
E’ proprio con Doyle che nasce il giallo di enigma o giallo di investigazione, cui si ispireranno molti scrittori successivi, come ad esempio Agatha Christie, Gilbert Keith Chesterton (I tre strumenti di morte), Edgar Wallace, Georges Simenon (creatore di Maigret), Ellery Queen.
Agli inizi del Novecento, più precisamente a partire dagli anni Venti, si sviluppa in America, in particolare a opera degli scrittori Dashiell Hammett (Più di una volta non posso impiccarti) e Raymond Chandler (L’interrogatorio), una nouva forma di narrativa poliziesca più violenta e realistica, definita hard-boiled school (scuola dei duri), espressione inglese con cui si indica il giallo di azione.
La diffusione del poliziesco in Italia può essere fatta risalire al 1929, quando la casa editrice Mondadori da vita a una collana di libri con la copertina gialla intitolata “Collezione di romanzi e di racconti polizieschi e di avventure”: proprio dal colore della copertina è derivata la definizione, solo italiana, di “romanzo giallo”.
Negli ultimi decenni dello scorso secolo si è assistito a una vera fioritura del giallo italiano, che ha visto fra i suoi artefici e i suoi lettori schiere sempre più vaste di appassionati, sia a livello alto e letterario, sia a livello medio o popolare. Tra i “giallisti” italiani ricordiamo Giorgio Scerbanenco (I milanesi ammazzano al sabato) e Renato Olivieri (Ambrosio indaga), che hanno ambientato alcuni romanzi nella Milano degli anni Sessanta il primo, e degli anni Ottanta il secondo.
A una generazione più giovane appartengono Carlo Lucarelli, Andrea G. Pinketts, Massimo Carlotto. Un singolare autore di racconti e romanzi polizieschi, che hanno per protagonista il commissario Moltalbano, è Andrea Camilleri, autore del romanzo che la classe leggerà durante l’anno scolastico: Il ladro di merendine.
Un giallista atipico è Umberto Eco, che con Il nome della rosa, ambientato in un’abbazia medievale, ha realizzato un’inedita combinazione tra giallo d’enigma e romanzo storico, dando vita a uno dei più clamorosi successi editoriali degli ultimi tempi.

Caratteristiche del racconto giallo di enigma
Il racconto giallo di enigma presenta una struttura narrativa abbastanza rigida che generalmente prevede le seguenti fasi:
· l’avvio della narrazione è determinato da un evento violento: è stato commesso un crimine (un omicidio, un furto…). Si presenta dunque un enigma (un problema, un fatto misterioso) da sciogliere, da risolvere;
· lo sviluppo narrativo consiste nella ricostruzione di come e da chi è stato commesso il crimine. Il compito di risolvere l’enigma è affidato all’investigatore o al commissario di polizia che, raccogliendo indizi e utilizzando doti di logica e deduzione, formula ipotesi sul movente e sul colpevole. Spesso l’investigatore ricorre all’interrogatorio di testimoni per far luce sull’enigma;
· la conclusione prevede la soluzione dell’enigma. L’investigatore scopre il colpevole, individua il movente, fornisce le prove, ricostruisce in modo preciso, dettagliato la dinamica del crimine.

Caratteristiche del racconto giallo d’azione
Mentre nel giallo di enigma il crimine avviene all’inizio e l’investigatore ne ricostruisce la dinamica, nel giallo di azione gli eventi criminosi avvengono nel corso o alla fine della narrazione e coinvolgono più personaggi.
Il lettore, in tal modo, segue gli eventi direttamente nel momento del loro accadere in uno stato d’animo di alta tensione emotiva. Anche nel giallo di azione è presente il procedimento investigativo, ma ciò che conta sono soprattutto gli eventi dinamici, fortemente violenti, crudi, drammatici.

Personaggi, tempo e spazio del racconto giallo
I personaggi, generalmente in numero limitato e delineati con tratti essenziali, ma precisi, si distinguono in:
· eroe-protagonista: l’investigatore, il commissario di polizia che svolge le indagini per scoprire il colpevole del crimine;
· aiutante del protagonista: personaggio che fa da “spalla” al protagonista, cioè lo aiuta nelle indagini;
· antagonista: il colpevole, l’autore del crimine;
· vittima: personaggio che subisce le conseguenze dell’azione criminosa;
· testimoni: personaggi che forniscono le prove per smascherare il colpevole o per scagionare un innocente ingiustamente accusato.
Il tempo, l’epoca in cui avvengono i fatti narrati, se non è indicato esplicitamente, è facilmente deducibile da alcuni elementi (tipo di abbigliamento dei personaggi, tipo di arredamento, mezzi di trasporto utilizzati…).
Lo spazio in cui si svolgono i fatti narrati è costituito da luoghi reali o inventati, solitamenti ambienti chiusi (camere di appartamento) o ben circoscritti ( una casa di campagna, un condominio in città, una nave, un treno…).
Aperti o chiusi, i luoghi del racconto giallo assumono spesso un ruolo decisivo nella ricerca degli indizi e nella soluzione del caso.

Tecniche narrative ed espressive del racconto giallo
Sia il giallo di enigma che il giallo di azione sono caratterizzati da:
· narrazione in terza persona o in prima persona. In quest’ultimo caso il narratore può essere l’investigatore, l’aiutante dell’investigatore o un testimone;
· il punto di vista del narratore si mantiene rigorosamente esterno ai fatti in quanto devono essere taciute tutte le informazioni che verranno rivelate al momento dello scioglimento del caso;
· l’intreccio, cioè l’ordine in cui l’autore presenta gli eventi del racconto, non coincide con la fabula (o storia), cioè con l’ordine cronologico dei fatti. Si presume che gli alunni abbiano familiarità con questi termini in quanto devono aver studiato altre tipologie di testi narrativi (romanzo d’avventura, storico, fiaba, novella…)
· introduzione di flash-back (espressione inglese che significa “lampo all’indietro”). Si tratta di quel procedimento narrativo per cui l’autore interrompe la successione degli eventi narrati per dare spazio alla narrazione di avvenimenti accaduti in precedenza e la cui conoscenza si rende indispensabile per la comprensione della vicenda;
· creazione di suspense, cioè di tensione emotiva, di attesa e di ansia per ciò che dovrà succedere;
· introduzione di colpi di scena, fatti imprevisti, inattesi che contribuiscono a rendere più tesa e più complicata la vicenda;
· finale a sorpresa;
· ritmo della narrazione ora rapido, incalzante, ora invece lento con pause. In entrambi i casi il ritmo narrativo contribuisce a intensificare la suspense;utilizzo di periodi per lo più brevi, costituiti da proposizioni coordinate.

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